mercoledì 12 dicembre 2012

PARLIAMO DI SETTE: La tarîqa Tijâniyya


La  tarîqa  Tijâniyya


Su ordine del Profeta ogni precedente filiazione iniziatica ricevuta dallo shaykh Tijânî è abrogata e la tarîqa ascritta direttamente al profeta Muhammad, solo vero fondatore della Tijâniyya. Nel 1789 lo shaykh si trasferisce a Fes; qui incontra il favore del sultano del Maghreb Mawlay Sulaymân (il cui periodo di sultanato dura dal 1792 al 1822, anno della sua morte), che diviene suo discepolo, e qui è fondata anche la zâwiya madre (sede) della tarîqa, il cuore del suo irraggiamento spirituale, dove lo shaykh rimane fino alla sua morte istruendo i discepoli e impartendo il suo insegnamento. Quest'ultimo, molto vicino al pensiero di Ibn 'Arabî, è riunito nelle opere principali dell'Ordine, prima fra tutte i Jawâhir al-ma'ânî del suo discepolo prediletto 'Alî Harâzim (†1800).La tarîqa Tijâniyya risale allo shaykh Abû-l-'Abbâs Ahmad at-Tijânî (1737-1815), discendente del Profeta attraverso al-Hasan, nato nel villaggio fortificato di 'Ain Madi (Algeria). Rimasto orfano all'età di sedici anni completa i suoi studi religiosi a Fes, dov'è iniziato al sufismo. Da qui parte poi per il pellegrinaggio ed è ricollegato a molte turuq e ai maestri più importanti della sua epoca, nelle diverse branche della Shâdhiliyya e della Khalwatiyya; ritornato alla terra natale inizia ad accogliere i suoi primi discepoli nella linea iniziatica (silsila) dello shaykh khalwatî egiziano Mahmûd al-Kurdî (1717-1780). In Algeria loshaykh trascorre altri lunghi anni di ritiro nel deserto, ad Abû Samghûn, dedicandosi intensamente alla recitazione della Salâtu-l-fâtih, una speciale preghiera sul Profeta di origine divina considerata uno dei mezzi più efficaci per avvicinarsi ad Allâh attraverso la mediazione del suo inviato. Nel 1782 ottiene il raro favore della visione del profeta Muhammad allo stato di veglia; da quello stesso momento il Profeta, che in seguito loshaykh Tijânî continuerà a vedere, come lui stesso afferma, "in ciascun istante della sua vita" ‒ sia allo stato di veglia sia secondo altre modalità ‒, è il suo unico maestro nella Via ed è lui stesso a conferirgli i riti della nuova tarîqa che sta nascendo.
La Tijâniyya fa capo a un khalîfa generale, che appartiene alla famiglia delloshaykh e risiede ad ‘Ain Madi; a questi sottostanno degli altri khulafâ’ che presiedono a specifiche aree geografiche e hanno una diretta autorità sui diversi maestri dell’Ordine. Già all’epoca dello shaykh Tijânî la tarîqa conosce subito una grande diffusione, cui hanno contribuito anche i suoi principali discepoli come ‘Alî Harâzim, ‘Alî at-Tamâsinî (1766-1844), Ibrâhîm ar-Riyâhî (c.1767-1850), Muhammad al-Ghâlî (†1829), Muhammad ash-Shinqitî (†c. 1830), per citarne solo alcuni. Diffusasi inizialmente nel Maghreb e nell’Africa occidentale, dopo la morte dello shaykh essa raggiunge l’Egitto e anche il lontano Estremo Oriente, ma è soprattutto in tutta l’area sub-sahariana che conosce la sua maggiore espansione. Questa avviene per fasi successive, di cui tre possono essere ricordate come principali. La prima ha al suo centro l’opera del mujâhid tukolor – termine derivato dal nome, takrûrîn, degli abitanti del Takrûr, una regione del Futa Toro, nell’odierno Senegal, da cui toucouleur in francese – al-Hâjj ‘Umar (c. 1795-1864), che – dopo avere ricevuto l’autorizzazione a diffondere la confraternita nell’Africa Occidentale – fonda un vasto impero che sarà sconfitto solo dal colonialismo francese. La seconda – non senza un collegamento almeno ideale con la prima – si diffonde grazie ad al-Hâjj Malick Sy (1855-1922), fondatore nel 1902 di quello che diventerà un centro religioso d’importanza internazionale a Tivaouane, a Ovest di Dakar, attorno a cui si è strutturata la branca più numerosa della Tijâniyya in Senegal, ancora oggi guidata da discendenti di Sy che ne perpetuano l’eredità spirituale. La terza ha come figure principali ‘Abdallâh Nyâss (1840-1922) e suo figlio, lo shaykh Ibrâhîm Nyâss (1900-1975), e come centro la città principale del Salum, Kaolack. Dopo essersi separato da una parte dei discepoli del padre, Ibrâhîm Nyâss fonda nel 1930 un nuovo centro religioso che prende il nome di Medina Baye, una “città nella città” all'interno di Kaolack. Benché più piccola in Senegal della branca di Tivaouane, quella con centro a Medina Baye – detta popolarmente dei “Nyasseni”, mentre i suoi membri preferiscono la denominazione Ibrâhîmiyya, e guidata da esponenti della famiglia Nyâss – è diventata la branca della Tijâniyya con il maggior numero di aderenti nel mondo, con importanti strutture anche negli Stati Uniti e in Europa.
Diffusa attualmente in varie parti del mondo, la tarîqa Tijâniyya conta ormai diverse decine di milioni di aderenti: secondo alcune fonti oltre cento milioni, tenuto conto che nell'Africa sub-sahariana accade spesso di essere nel contempo muslim e tij­ânî, per quanto non sia facile discernere ove si tratti di una vera affiliazione e ove di un'adesione "sentimentale" alla confraternita. Fra i principali maestri del secolo XX ricordiamo il sapiente maghrebino Ahmad Sukayrij (1877-1944), il primo a salire sul pulpito e a dirigere la preghiera del venerdì in occasione dell'apertura della Moschea di Parigi; inoltre il già menzionato shaykh Ibrâhîm Nyâss, che dopo l'iniziazione alla Tijâniyya a opera del padre 'Abdallâh Nyâss, si ricollega proprio ad Ahmad Sukayrij ‒ attorno al 1937 ‒ durante un viaggio nel Maghreb. Poco prima, sul finire degli anni 1920, possiamo collocare una svolta cruciale nella sua vita, che egli descrive come la ricezione di una fayda ("riversamento", "effusione") che genererà una particolare diffusione della confraternita e che determimerà per lui stesso l'appellativo con cui è tuttora noto: Sâhib al-Fayda, il "Signore dell'Effusione". Menzioniamo ancora l'egiziano grande conoscitore di tradizioni profetiche (muhaddith), lo shaykh Muhammad al-Hâfiz al-Misrî (1897-1978), riconosciuto come uno dei più grandi sufi e sapienti della nostra epoca; di lui basterà ricordare che manifesta segni di elezione divina in giovanissima età e che, ancora adolescente, si ritira per diversi anni da solo nel deserto egiziano.
L'italiano che nel 1984 porta la tarîqa nel nostro Paese – ricollegato ai principali maestri tijânî dell'Egitto, del Maghreb e al Khalîfa generale di 'Ain Madi – ha ricevuto la sua formazione iniziale da questo maestro. La tarîqa conta attualmente nel nostro Paese – oltre agli affiliati immigrati di origine maghrebina o senegalese, difficilmente quantificabili – una trentina di membri distribuiti in varie parti d'Italia, nonché alcuni discepoli in Francia, Russia e Colombia che fanno comunque riferimento alla realtà italiana.
A partire dal secolo XVI, ma soprattutto nei secoli XVIII-XIX, all'interno del sufismo è predicato il "ritorno alle origini", ossia la pratica di una spiritualità più aderente a quella dell'epoca del profeta Muhammad e dei suoi compagni, che non ai metodi elaborati a partire dal secolo III dell'Egira, specialmente nella scuola di Baghdad. Molte turuq, o ramificazioni, sorte in quest'epoca si sono date il nome di tarîqa Muhammadiyya. La Tijâniyya è una di queste; più esattamente si considera l'ultima delle turuq sorte dalla spiritualità muhammadiana e questa sua natura "conclusiva" è sottolineata dal suo stesso nome che èat-tarîqa al-Ahmadiyya al-Muhammadiyya al-Ibrâhimiyya al-Hanîfiyya; Tijâniyya è solo la filiazione derivante dal nome del maestro fondatore, "fondatore" beninteso, secondo i membri, dopo lo stesso Profeta. Questo nome infatti riassume in sé le tappe fondamentali di tutta la storia sacra a partire da Adamo: la Hanîfiyya, poiché allude alla Tradizione primordiale; l'Ibrâhimiyya poiché passa per il profeta Abramo, padre delle tre religioni monoteistiche; la Muhammadiyya, perché essa attinge direttamente dalla Realtà (haqîqa) di Muhammad, "Sigillo dei Profeti"; e infine l'Ahmadiyya, che allude alla Realtà ultima e più interiore del Profeta (la Haqîqa Ahmadiyya), poiché è il luogo di contemplazione particolare del "Sigillo dei Santi" (khâtim al-awliyâ'), funzione specifica dello shaykh Tijâni, che ha affermato di esserne stato investito dal Profeta sempre allo stato di veglia.
La santità (walâya) da lui "sigillata" è infatti quella di tipo speciale muhammadiano, poiché quella di ordine generale sarà "sigillata" da Gesù al tempo della seconda venuta. Loshaykh dichiara inoltre d'essere il "Polo nascosto" (al-qutb al-maktûm), colui che funge da intermediario supremo fra gli spiriti dei profeti e gli spiriti dei diversi poli spirituali (aqtâb) di ogni epoca. Lo shaykh, riprendendo la famosa frase che sette secoli prima aveva pronunciato 'Abd al-Qâdir al-Jîlânî – "Questo mio piede è sul collo di ogni Santo di Dio", il cui clamore continuò per secoli a infiammare gli spirituali del sufismo –, dichiarerà: "Questi miei due piedi sono sul collo di ogni santo di Dio, dall'epoca di Adamo fino a quando verrà soffiato nella Tromba". Preciserà inoltre, onde l'affermazione non sia presa come un fenomeno di "locuzione estatica" (shath), in presenza di Muhammad al-Ghâlî che lo interrogherà in proposito, di trovarsi in un perfetto stato di sobrietà spirituale e che, benché ugualmente vera, la frase di al-Jîlânî si riferiva solo ai santi della sua epoca. In altre occasioni dirà ancora: "Tutti i maestri ricevono (l'influenza spirituale) da me, dall'epoca dei Compagni sino a che verrà soffiato nella Tromba". E ancora, avvicinando due dita della mano: "Il mio spirito e quello del Profeta sono così; il suo spirito dona l'influenza spirituale agli spiriti dei Profeti e degli Inviati e il mio spirito la dona agli spiriti dei Poli e dei Conoscitori".
È questa dottrina che va a determinare il carattere esclusivista della tarîqa e a impedire ogni sua mescolanza con le altre, pur nel rispetto di ciascuna; essa impone infatti, fra le condizioni di appartenenza, che la tarîqa sia presa col voto di praticarla per tutta la vita, che non si prenda né si pratichi alcun altro wird assieme al wird della tarîqa, e che non sia fatta visita agli altri Awliyâ' (santi), sia viventi sia defunti, onde non venire meno al corretto comportamento (adab) verso il maestro, intermediario supremo del Profeta. La Tijâniyya si considera perciò l'espressione della pura "Via muhammadiana", contraddistinta dall'equilibrio fra le forme estreme di spiritualità, come sottolineato dall'ingiunzione del Profeta allo shaykhTijânî di percorrere questa Via senza isolamento e senza starsene lontano dagli uomini, nonostante la tarîqa conosca diverse forme di khalwa, il "ritiro cellulare". Ed è per questo, inoltre, che i testi della tarîqa sottolineano trattarsi di una via malâmati, ossia di una via in cui i santi non si caratterizzano per degli stati esteriori che li distinguono rispetto alla gente comune. Il malâmati infatti, come è definito da Abû 'Abd al-Rahmân Sulamî (936-1021), è colui che benché abbia raggiunto interiormente i più elevati stati di prossimità divina, analogamente al Profeta quando ritorna fra le creature dopo la sua "Ascensione celeste", non lascia trasparire esteriormente nulla del suo stato interiore.
Oltre ai riti iniziatici obbligatori che il discepolo tijânî è chiamato a praticare, come il wirdrecitato al mattino e alla sera, la Wazîfa ‒ un rito speciale ‒ e il dhikr collettivo del venerdì con la formula della "professione di fede" ‒ da sola o con l'aggiunta del Nome dell'EssenzaAllâh ‒, la tarîqa comprende molte altre pratiche di ordine esoterico. Per l'essenziale, comunque, essa è imperniata sulla Salât sul Profeta, in particolare la Salâtu-l-fâtih, che lo stesso shaykh praticò per tutta la vita, e mediante la quale molti suoi aderenti partecipano agli stati e alle stazioni spirituali del maestro. Il grado ultimo (al-fath al-akbar) secondo laTijâniyya – che è stata definita Via di ringraziamento e di lode – è infatti la "visione del Profeta", intendendo con ciò la contemplazione dell'Essenza divina nello specchio di Muhammad dove essa si manifesta assieme a tutti i suoi nomi e attributi, "affinché – come scrive Ibn 'Arabî – essa si imprima sul tuo specchio, sicché tu possa vedere il Principio in una Forma muhammadiana se­condo una Visione muhammadiana... poiché questa è la visione più perfetta e la più vera". Ha scritto lo shaykh Muhammad al-Hâfiz: "Coloro che hanno otte­nuto la realiz­zazione spirituale in questa tarîqa hanno detto che essa include i gradi spirituali più elevati di tutte le altre Vie e che vi sono com­presi tutti i metodi di disciplina ini­ziatica (tarbiya); non vi è principio stabilito da un mae­stro o da un intervento divino che non si trovi anche in questa Via e nel modo più perfetto, ed essa possiede inoltre per sé sola ciò che distingue in modo speciale la sua gente"; e Tierno Bokar (1875-1940), un maestro africano, ha detto: "La Tijâniyya occupa fra le altre turuq lo stesso posto che l'Islam occupa fra le altre religioni, e conferisce allo shaykh Tijânî tra i santi una posizione analoga a quella del Profeta tra gli altri profeti".
B.: Per una visione d'insieme, si vedano: Amadou M. Samb, Introduction à la Tariqah Tidjaniyya, Al-Bustane, Parigi 1996; Jamil Abun-Nasr, The Tijaniyya. A Sufi Order in the Modern World, Oxford University Press, Londra 1965; Jean-Louis Triaud - David Robinson (a cura di), La Tijâniyya. Une confrérie musulmane à la conquête de l'Afrique, Karthala, Parigi 2000; Zachary Valentine Wright, On the Path of the Prophet: Shaykh Ahmad Tijani and the Tariqa Muhammadiyya, African American Islamic Institute, Atlanta 2005. Il principale testo della confraternita ‒ contenente i discorsi dottrinali, le lettere e le incantazioni dello shaykhTijânî, raccolti da un suo eminente discepolo ed erede spirituale ‒ è: Sidi 'Alî Harâzim Ibn al-'Arabî Barrâda,  Jawâhir al-Ma'ânî. Perles des sens et réalisation des voeux dans le flux d'Abû-l-'Abbâs at-Tijânî, Al Bouraq, Parigi 2011. Cfr. inoltre Alberto Grigio, "Le fonti della Tarîqa Tijâniyya", Annali di Ca' Foscari, XXXVII, 3, Venezia 1998, pp. 155-186; Jacques Berque, L'intérieur du Maghreb XVe-XIXe siècle, Gallimard, Parigi 1978; Muhammad at-Tâdilî, "Commento al Libro dello Sciaikh Ahmed at-Tigiânî intitolato 'Il Gioiello' ('Al-Giàwharah')", trad. it., Rivista di Studi Tradizionali, 35 (1971), pp. 148-156; 36 (1972), pp. 12-22; 37 (1972), pp. 88-98; e 38 (1973), pp. 7-15; Amadou Hampaté Ba, Il Saggio di Bandiagara (la vita di Tierno Bokar), trad. it., L'Ottava, Milano 1980. Soprattutto per gli aspetti africani cfr.: Andrea Brigaglia, La Fayda Tijâniyya di Ibrahim Nyass in Africa Occidentale: dinamismo e sistemi di linguaggio nel sufismo contemporaneo, Tesi di Laurea in Islamistica, Istituto Universitario Orientale, Napoli, a.a. 1998-1999; Luigi Perrone, “Il ritualismo della comunità senegalese in Italia fra tradizioni e modernità”, in ibid., pp. 185-221; Adriana Piga, Dakar e gli Ordini sufi. Processi socioculturali e sviluppo urbano nel Senegal contemporaneo, Bagatto Libri, Roma 2000; Eadem (a cura di), Islam e città nell’Africa a sud del Sahara. Tra Sufismo e Fondamentalismo, Liguori, Napoli 2001; Eadem, “Il sufismo e le confraternite in Senegal”, in Marietta Stepanyants (a cura di), Sufismo e confraternite nell’Islam contemporaneo. Il difficile equilibrio tra mistica e politica, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2003, pp. 49-70; A. Piga, L’Islam in Africa. Sufismo e jihad fra storia e antropologia, Bollati Boringhieri, Torino  2003.

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