«Sono stato discriminato dalle istituzioni italiane perché non voglio imporre la religione musulmana ai miei figli». Una denuncia controcorrente, quella di Khalid Makhlou, operaio edile marocchino, in Italia da 25 anni, sposato con Valentina, 29enne italiana e cristiana, e da molti anni perfettamente integrato ad Albenga. «Io non sono praticante, mentre i miei bambini – spiega –, un maschio di 5 anni e una femmina di 3, sono stati battezzati e sono cristiani come mia moglie, ma presto potrebbero non esserlo più». Gli assistenti sociali, infatti, li hanno da tempo affidati a una coppia musulmana, marito egiziano e moglie italiana convertita all’islam, secondo un semplicistico e frettoloso assunto per il quale arabo uguale islamico. A lamentare il grossolano errore di valutazione e a raccontare la vicenda è lo stesso sito dei marocchini in Italia “al-Maghrebiya.it”, che sostiene le ragioni dell’uomo. Il cui dramma è iniziato quando, alla nascita della bimba, sua moglie è caduta in una forma grave di depressione post partum, che ha richiesto il ricovero e poi la permanenza in una comunità protetta, dalla quale Valentina dovrebbe finalmente uscire tra uno o due mesi, grazie al buon recupero. «In questo periodo ho dovuto far fronte da solo a tutte le necessità dei bambini – spiega Makhlou –, conciliando con grande difficoltà lavoro e famiglia e facendo da padre e madre insieme. Così sono stato proprio io che ingenuamente, fidandomi delle istituzioni italiane ed essendo un cittadino onesto, incensurato, lavoratore, ho chiesto aiuto agli assistenti sociali per ottenere un appoggio. Per tutta risposta sono precipitato in un incubo: mi hanno tolto i figli per affidarli a un’altra coppia, che però è integralista islamica e fa di tutto per condurre all’islam i figli di una donna cattolica».
Che alcune gravissime irregolarità siano accadute è provato ad esempio dal fatto che la bimba - come risulta incontrovertibilmente da alcune foto - è stata condotta in Egitto dalla famiglia affidataria, senza che il padre ne sapesse nulla e avesse dato l’assenso. Nulla in contrario se al suo fianco il tribunale di Genova avesse messo una famiglia italiana o comunque cristiana come i suoi bambini, ma «i giudici devono aver pensato che tutti gli arabi sono musulmani: il padre dei due piccoli è marocchino, quindi li diamo a un egiziano e a una convertita... Quantomeno credo si tratti di una cattiva valutazione culturale, per colpa della quale da anni combatto inutilmente».
Mentre su Facebook ieri si è aperta una pagina in cui i marocchini d’Italia difendono i diritti dell’uomo, la parlamentare Souad Sbai, anche lei di origini marocchine, tra ieri e oggi ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Roma e un’interrogazione parlamentare, ha chiesto una commissione d’inchiesta con un’interpellanza al ministero della Giustizia, e si è rivolta all’ufficio Pari opportunità e diritti umani dell’Unione Europea: «Io questo lo definisco stupro culturale», dice senza mezzi termini la deputata. «Assurdo è che una cosa simile succeda in Italia, dove un uomo chiede un sussidio economico per potersi permettere una persona di sostegno, tra l’altro proponendo che dei suoi figli si occupassero i nonni materni e gli zii, ma si vede portar via i piccoli per affidarli a gente che sappiamo bene come si comporta soprattutto in tema di apostasia, come viene considerata dall’islam la conversione al cristianesimo, in alcuni Paesi punita persino con la morte. Khalid è un uomo per bene, chiede solo che vengano affidati a una coppia che rispetti la loro fede religiosa». Gravi, secondo la parlamentare, le responsabilità dei giudici, «ai quali consiglio di studiare a fondo il fenomeno dell’immigrazione. Che c’entrano quei due bambini con le usanze e il pensiero islamico? Se anche il papà, come la mamma, fosse stato italiano, forse i suoi figli sarebbero stati dati a una coppia musulmana? Non credo. La discriminazione è innegabile».
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