Qual è il vero bene per la Chiesa in Cina
di Card. Joseph Zen Ze-kiun
Alla vigilia di un importante incontro a Roma su “Gesù nostro contemporaneo”, il card. Zen chiede a tutti i cattolici di aiutare la Chiesa in Cina (e soprattutto i suoi vescovi ufficiali) di uscire dall’ambiguità, seguendo Benedetto XVI e di “disfarsi” di organismi nemici della fede (v. Associazione patriottica, ufficio affari religiosi, ecc.), che controllano e soffocano i fedeli. La Chiesa cinese è sull’orlo di uno scisma dovuto a “mercanteggiamenti” fra la fede cattolica e il potere politico. Il sottotitolo di questo articolo (voluto dall’autore) è:”In dialogo con la Comunità di Sant’Egidio e con Gianni Valente di 30Giorni”.
Hong Kong (AsiaNews) - Desidero anzitutto dichiarare tutto il mio rispetto per il grande zelo dei miei amici della Comunità di Sant’Egidio e del mio caro amico Gianni Valente di 30Giorni nei riguardi della Chiesa in Cina. Voglio confermare anche la mia riconoscenza per la loro lunga amicizia nei miei riguardi.
Siccome però da un po’ di tempo non cercano più di incontrarmi ed io trovo qualcosa di preoccupante in quello che fanno e dicono nei riguardi della nostra cara Chiesa in Cina, credo che sia cosa più proficua che io entri in questa pubblica conversazione attraverso la parola stampata e prendo spunto dall’articolo di Gianni Valente su “30Giorni” Numero 9 (2011): “Intervista con Giovanni Battista Li Su Guang, Vescovo coadiutore di Nanchang”
Le mie domande
Dopo aver letto con attenzione le pagine 30-35 non riesco a conciliare le bellissime parole di Mons. Li nell’intervista con il fatto recente, riportato pure onestamente da Gianni Valente, che cioè il giorno 14 luglio Sua Eccellenza ha partecipato alla ordinazione episcopale illecita di Huang Binzhuang di Shantou [1].
Mi domando anzitutto: perché la Comunità di Sant’Egidio debba invitare a quell’incontro internazionale persone come mons. Li che sono dal punto di vista ecclesiale gravemente compromesse[2]. Ovviamente, vengono accolti con grande cordialità, il che va bene, e con onore, il che non va bene.
Domando poi perché Gianni Valente di 30Giorni debba intervistare simili persone, quando si sa che non sono libere di dire quello che pensano. Come può mons. Li Suguang affermare che “la Chiesa in Cina non ha cambiato un solo iota dalla tradizione apostolica”, quando non molto tempo prima ha partecipato (forzato o meno) ad un atto che gravemente ferisce l’unità della Chiesa dopo recentissimi chiari richiami della Santa Sede sulla gravità di simile atto.
Lettura della situazione
C’è evidentemente una situazione dolorosa in Cina e tutti siamo ansiosi di fare qualcosa per venire incontro a quei nostri fratelli. Ma il problema è: fare che cosa? Perché da noi si dice che “con il buon cuore si possono fare cose cattive”, cioè nocive a quelli a cui abbiamo intenzione di fare del bene.
Per poter discernere che cosa è oggettivamente bene e che cosa non lo è nella presente situazione, bisogna anzitutto concordarci su come leggere questa situazione.
Mi pare che tutti dobbiamo essere d’accordo nell’ammettere, come afferma il Santo Padre nella sua Lettera del 2007 che la situazione della Chiesa in Cina è anormale soprattutto perché non i nostri vescovi, ma organismi estranei alla Chiesa – Associazione Patriottica, Ufficio per gli Affari Religiosi – stanno guidando la nostra Chiesa.
Quasi cinque anni dopo la pubblicazione della Lettera, questa realtà non sembra per niente cambiata. Perché?
Da una parte, il Governo di Pechino non ha cambiato uno iota nella sua politica religiosa di oppressione; vuole avere assoluto controllo delle religioni e, nel caso della Chiesa Cattolica, vuole staccare la Chiesa in Cina dall’obbedienza alla Santa Sede.
Da parte nostra, purtroppo, qualcuno non ha accolto sinceramente la Lettera del Papa. Anzi, ha osato manometterla nella sua presentazione, nella traduzione in cinese, e nella sua interpretazione, per cui si è sorvolato sull’ecclesiologia, che invece era stata sottolineata dal Papa, e si è tendenziosamente interpretato l’incoraggiamento del Santo Padre alla riconciliazione come se fosse un invito ad un indiscriminato “travaso” delle due comunità: quella sempre più assoggettata al Governo e quella che era andata in clandestinità per evitare tale soggezione.
Lungi da me qualunque giudizio morale sulle persone in quello che ho detto e sto per dire, ma ovviamente molti errori sono stati commessi negli anni recenti.
Un po’ di storia recente
Sua Eminenza il Cardinale Josef Tomko, quando è stato fatto Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, aveva già molta esperienza di partecipazione alle sollecitudini del Santo Padre per la Chiesa universale. Questa esperienza, unita alla sua provenienza da un Paese comunista, lo rendeva molto preparato a capire la situazione della Chiesa in Cina. Data poi la politica di apertura di Pechino, gli arrivavano molte informazioni sulla situazione, che gli consigliarono opportuni provvedimenti ovviamente approvati dal Santo Padre.
Oltre alla sua prioritaria premura per la comunità clandestina, si era aperto ad una grande comprensione degli anziani vescovi della comunità ufficiale, ordinati illegittimamente in situazioni veramente difficili e sotto grave pressione. Nell’accogliere le loro petizioni di legittimazione, egli richiedeva il consenso del vescovo clandestino (se esisteva nella stessa diocesi) oppure l’opinione dei vescovi clandestini viciniori. Nelle diocesi dove esisteva un vescovo clandestino, questi veniva confermato come Ordinario, mentre quello ufficiale veniva legittimato come Ausiliare. Naturalmente, questa dipendenza canonica era reale in situazioni particolarmente favorevoli, come a Wuhan, mentre altrove essa rimaneva come affermazione di diritto, anche se in realtà i due non erano in grado di consultarsi nell’esercizio del loro ufficio pastorale.
Simili disposizioni venivano praticate quando giovani candidati, eletti nella comunità ufficiale, si credevano in dovere di chiedere l’approvazione della Santa Sede prima dell’ordinazione episcopale.
Nel 2000, il Cardinale Tomko, avendo compiuto 75 anni, a norma dei canoni andò in pensione. Nello stesso tempo, all’interno della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, avvenne un completo cambio di personale. La mancanza di esperienza e di expertise causò un vuoto di pensamento e di provvedimenti. La linea iniziata dal Cardinale Tomko andò avanti per forza d’inerzia, ma senza quella accuratezza con cui era cominciata. Molti membri della comunità clandestina si lamentavano che troppo facilmente si legittimavano i vescovi ordinati illegittimamente e si approvavano i nuovi candidati, mentre alla comunità clandestina non si davano più nuovi vescovi quando gli anziani pastori venivano a mancare.
Il successore del successore del Cardinale Tomko [il card. Ivan Dias – ndr] aveva l’esperienza di aver lavorato insieme al Cardinale Casaroli. Purtroppo questo, che poteva essere un suo punto forte, risultò invece una limitazione, in quanto egli credeva che l’Ostpolitik del famoso Cardinale avesse operato miracoli nei Paesi comunisti dell’Europa dell’Est, mentre si sa che almeno il Cardinale Wyszyński e Papa Woytiła non erano dello stesso parere e molti ecclesiastici di quei Paesi criticavano severamente tale politica. Il Cardinale Casaroli diceva che bisognava cercare se non un “modus vivendi”, almeno un “modus non moriendi”, ma in realtà la fede di quelle Chiese deperiva.
Veniamo alla realtà in Cina. Nella convizione che non si poteva porre resistenza allo strapotere del Governo assolutista, si è adottata una strategia di compromesso, se non ad oltranza, almeno in misura preponderante. E che cosa vediamo ora? Vediamo che la comunità clandestina che pure allora fioriva, adesso corre il rischio di morire di frustrazione e di scoraggiamento, perché sembra trascurata e considerata inconveniente dalla Santa Sede. La comunità ufficiale sembra viva e vegeta con le sue chiese aperte piene di fedeli e con i suoi vescovi, molti dei quali con doppia approvazione cioé del Governo e della Santa Sede, ma qual’è la vera realtà? Una doppia vittoria?
Quando Gianni Valente voleva far sembrare che tutto andava bene perché molte ordinazioni episcopali avevano avuto la doppia approvazione, io ho messo un punto interrogativo in quanto c’era da sospettare che nelle trattative fosse stata la Santa Sede a cedere più che non la controparte cinese.
Fatti recentissimi
Dopo molta (direi soverchia) accondiscendenza da parte della Santa Sede, il Governo cinese non mostra alcuna volontà di rispettare la natura essenziale della Chiesa Cattolica, come viene accettata pacificamente in tutte le parti del mondo civile. Difatti, al primo caso in cui l’approvazione della Chiesa tardava ad essere concessa, il Governo ha proceduto di nuovo unilateralmente ad una ordinazione illegittima a Chengde (novembre 2010), seguita da altre due, una a Leshan (giugno 2011) ed una a Shantou (luglio 2011). Il Governo cinese ha così mostrato di non avere alcuna intenzione di cambiare la sua politica religiosa.
Davanti a tali atti di sfida, che hanno tradito la sua sincera volontà di dialogo, alla Santa Sede non rimane che ritornare sulla linea della chiarezza. Non si può perciò accusare la Santa Sede di chiusura.
Cambiamento di rotta
Riflettendo sul recente passato, si è potuto constatare che una politica troppo accondiscendente non otteneva il desiderato contraccambio da parte del Governo e che nel frattempo l’errata compassione ha indebolito la Chiesa al suo interno. Perfino il Santo Padre, ha lanciato l’allarme sulla possibile infiltrazione di elementi opportunisti nelle posizioni direttive della Chiesa[3].
Non si poteva indugiare più. Il cambiamento di rotta è stato visibile a tutti nelle recenti prese di posizione di fronte alle ultime due ordinazioni illegittime.
Comprendo come coloro che credevano in una doppia vittoria nella precedente situazione di compromesso ora pensino che la Chiesa sia in errore per la sua posizione ferma e chiara e che loro giudicano essere chiusura.
Per chi, specialmente attraverso l’Internet dall’interno della Cina, ha il polso su come il popolo fedele vede gli avvenimenti, la linea di chiarezza e fermezza è stata sapiente e necessaria per riconquistare la fiducia di molti che si sentivano smarriti davanti a vescovi che, pur in comunione con la Santa Sede, compivano atti contro l’unità della Chiesa senza che la Santa Sede prendesse seri provvedimenti. Infatti, in passato, la scomunica contemplata nel Codice di Diritto Canonico è stata sovente richiamata, ma non fatta valere concretamente.
Ovviamente la situazione presente è ben differente da quella di qualche decennio fa. Paragonare i presenti vescovi della Chiesa ufficiale con, per esempio, la venerata figura del defunto vescovo Li Duan tradisce una completa ignoranza dei fatti.
Qualcuno ha fatto apparire lo scrivente come uno che allegramente applaudisce al lancio delle scomuniche. Ma i fatti registrati nella storia possono provare che io sono stato tra i primi, vent’anni fa, a patrocinare la causa di quelli della comunità ufficiale. Ho perfino dichiarato davanti all’augusta Assemblea Sinodale per l’Asia che in Cina c’era una sola Chiesa. Ma oggi non ne sono più così sicuro.
Sappiamo certo che quei nostri fratelli sono oppressi dalle minacce e dagli allettamenti del Governo, ma davanti al problema così fondamentale dell’unità della Chiesa Cattolica il nostro dovere è di incoraggiarli al coraggio, come pure ha fatto tante volte il Santo Padre. Sarebbe falsa compassione mostrare che i loro cedimenti siano giustificabili.
Ora invitare ad incontri all’estero vescovi compromessi in atti oggettivamente distruttivi della unità della Chiesa sembra molto inconveniente, perché in tali occasioni riceveranno verosimilmente solo atti gentili di incoraggiamento che poi vengono anche abusati come approvazione, da parte del resto della Chiesa, del loro operato. Intervistarli, poi, equivale a far parlare gente che non è libera di dire la verità e che diranno solo cose che favoriscono la causa del Governo. È crudele nei riguardi dell’intervistato ed è ingiusto nei riguardi dei lettori, i quali avranno una cognizione deformata della realtà.
Il fatto è che siamo sull’orlo di uno scisma, con queste ripetute dichiarazioni di voler fare una Chiesa indipendente e di continuare ad ordinare vescovi senza il mandato pontificio.
Non tutti gli atti gentili sono di vera carità, quando non aiutano ad essere fedeli alla vera natura della Chiesa. Non parliamo, poi, dell’effetto addolorante che questi incontri hanno sui membri della comunità clandestina, i quali non possono non sentirsi smarriti vedendo membri della Chiesa universale onorare questi fratelli in situazione di grave compromesso.
Conclusione
Rispondendo alla domanda formulata nel titolo di questo scritto, penso di poter dire che il vero bene per la Chiesa in Cina è di tornare alla sua vera natura come data dal suo fondatore Gesù Cristo e come esposta nella Lettera del Papa alla Chiesa in Cina, cioè, ad essere veramente Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.
Il vero bene per la Chiesa in Cina non è di consolare gli oppressi perché rimangano nella loro ambigua situazione, ma di incoraggiarli ad uscirne.
Il vero bene per la Chiesa in Cina non è di continuare a mercanteggiare con organismi non solo estranei ma chiaramente ostili alla Chiesa, ma di mobilitare vescovi e fedeli a disfarsi di questi.
Sto parlando di cose impossibili? Tutto è possibile a chi vuole rimanere fedele ai disegni di Dio, dal quale viene la forza agli umili e il coraggio ai deboli.
[1] Cfr. AsiaNews.it, 14/07/2011 Otto vescovi in comunione col papa costretti all’ordinazione illecita di Shantou (nota dell’editore).
[2] Il card. Zen si riferisce all’incontro “Religioni e culture in dialogo”, organizzato dalla Comunità di S.Egidio a Monaco di Baviera dal’l11 al 13 settembre 2011 (nota dell’editore).
[3] Cfr. AsiaNews.it, 18/05/2011 Papa: preghiamo per la Chiesa in Cina, per quelli oppressi e quelli tentati dall’opportunismo.
Nessun commento:
Posta un commento