mercoledì 31 agosto 2011

La fine del multiculturalismo e della sottomissione all'Islam inizia da Londra ed arriva in Sardegna.Questi i Quattro contro i Cattolici … loro fondamentalisti sinistroidi con compiacimento all’Islam. loro nomi: Massimo Marini, Samuele Carlini, Nicola Sanna, Ennio Neri, la vergogna di essere italiani come loro.

La fine del multiculturalismo e della sottomissione all'Islam inizia da Londra ed arriva in Sardegna. Questi i Quattro contro i Cattolici … loro fondamentalisti sinistroidi con compiacimento all’Islam.  loro nomi: Massimo Marini, Samuele Carlini, Nicola Sanna, Ennio Neri, la vergogna di essere italiani come loro.




  





Ecco come  quattro amici al “Bar”, poco più che debosciati, estremisti di sinistra senza vita, senza speranza hanno offeso me giornalista cattolico, e tutti i cattolici non solo italiani perché dicono che io le mie idee e gli altri come me... non le posso dire, sono obsoleto, e voi con me cari cattolici.
Dice su FB Samuele Carlini: “ahahahahahah michel secondo me sei un invasato……….di credo  cristiano..... o mamma ..... credere nella persona e nell’uomo no eh sarebbe meglio che nessuno credesse a queste cazzate della religione, perche formano personaggi come te impaurito anche della sua stessa ombra ........(dice lui non sapendo neanche chi sono), e poi continua….. io credo nella madre terra e a tutte le sue creazioni..............
Segue Sanna: no, ti sbagli, Michel io almeno sono l'Anticristo in persona.
Senza sapere nulla senza dare un briciolo di dati, di nulla si sono risentiti perché non mi è piaciuta la consegna della Moschea a Cagliari e la festa Islamica che ne è scaturita, del loro modo di "non inserirsi" di non accettare la vita occidentale e di imporre la loro.
Ma come non fanno ad accorgersene che dal Crocifisso in classe, alla divieto dei canti Natalizi ci stanno continuamente restringendo, alle violenze alle donne emancipate italiane, al non rispetto dell'essere donna imponendo veli, burqua ed altro. Non è una questione di Corano è una questione di Islamici.
Ragazzi vergognateli voi, verggnatevi di pensare alle favole, al vivere tutti insieme, non è possibile, vergognatevi di quelle cose che pensate che poi tanto non vanno neanche a voi ... in verità i segni ci sono ed io non sono un invasato, la rivolta di giovani immigrati, e inglesi figli di immigrati, disoccupati - in gran parte africani e caraibici -, scoppiata nel quartiere londinese di Tottenham dopo l'uccisione in un conflitto a fuoco del tassista e, secondo la polizia, spacciatore di droga Mark Duggan (1981-2011), rischia ora di estendersi a tutta la Gran Bretagna ed altri stati

Benché alcuni degli attivisti che cercano di guidarla siano affiliati a movimenti islamici, la rivolta non ha carattere religioso. Né nasce, come molti quotidiani dicono, dai Blackberry che - spiazzati dalla concorrenza degli iPhone - sono diventati a Londra i telefoni dei poveri e degli immigrati e sono serviti a convocare a colpi di SMS i rivoltosi, aggirando la polizia che sorvegliava invece Twitter e Facebook. I Blackberry sono evidentemente lo strumento, non la causa di un fenomeno che nasce - e in questo senso è simile alle rivolte che hanno dato origine in Tunisia e in Egitto alle cosiddette "primavere arabe" - dalla crisi economica e dal carovita. Ancora una volta, assistiamo a tumulti che ricordano quelli settecenteschi della "vie chère" in Francia, che - abilmente indirizzati e sfruttati da politicanti che però non li avevano suscitati né organizzati - prepararono la Rivoluzione francese del 1789.

Se tuttavia la crisi economica ha prodotto e sta producendo in Gran Bretagna fenomeni così gravi, una causa va cercata anche nel fallimento - ormai ammesso anche da una parte della classe politica britannica - del modello multiculturalista di cui fino a qualche anno fa Londra andava orgogliosa, proponendolo anzi anche a noi come soluzione di tutti i problemi dell'immigrazione.

La parola “multiculturalismo”, in realtà, è nata in Canada negli anni 1960 come evoluzione di “biculturalismo”, espressione ottocentesca creata per sottolineare la possibilità offerta alla comunità di lingua francese di mantenere la sua lingua e le sue tradizioni. Nonostante il separatismo sempre vivo nel Québec, l'esperimento è riuscito perché ai canadesi divisi dalla lingua è stata offerta quella che il sociologo inglese Tariq Modood ha definito "una narrativa comune", un insieme di simboli e di riferimenti alla patria canadese cementati dal comune impegno nelle guerre mondiali. Il successo del biculturalismo in Canada ha permesso nel XX secolo la sua trasformazione in “multiculturalismo”, accogliendo anzitutto tre grandi comunità - cinese, italiana e giamaicana - che hanno mantenuto, molto più che negli Stati Uniti, la loro lingua e cultura.

In Gran Bretagna il multiculturalismo è diventato una parola d'ordine della sinistra e dei cosiddetti "professionisti dell'anti-razzismo" dopo il 1968 e ha significato sussidi e ampia autonomia per i vari gruppi etnici nigeriani, caraibici, indiani, pakistani. Ma la diffidenza di quella sinistra per il patriottismo ha impedito che agli immigrati fosse trasmessa una "narrativa comune" alla canadese.
I primi problemi sono nati quando una rivendicazione di autonomia è stata avanzata dai musulmani che, a differenza degli italiani, dei cinesi e anche dei pakistani, non sono un gruppo etnico ma religioso, le cui domande vanno ben al di là della preservazione di una lingua, di una musica o di una cucina e investono la sfera fondamentale dei rapporti di famiglia e dei diritti umani.

Questo equivoco che confonde etnicità e religione ha, per così dire, imbastardito il multiculturalismo, trasformandolo da rispetto per tradizioni culturali diverse che possono coesistere - all'interno, appunto, di una "narrativa comune" - in cedimento a pericolose pretese prima di musulmani e poi anche di altri di organizzarsi separatamente quanto al diritto di famiglia, a pratiche come l'uso di certe droghe "etniche" e alla gestione dei quartieri dove sono maggioranza.

In tempi di prosperità economica, era almeno mantenuto un certo ordine pubblico, non senza rivolte occasionali. In tempi di gravissima crisi economica e di disoccupazione maggioritaria tra i giovani, i quartieri "ingestibili" dalla polizia esplodono e la presunta gestione responsabile e separata da parte delle singole comunità etniche si rivela inaffidabile.

Il multiculturalismo britannico, dunque, è fallito. L'alternativa, tuttavia, non è l'uniculturalismo alla francese, che sostituisce il modello multiculturale con un laicismo che combatte ogni identità religiosa e culturale diversa dall'ideologia ufficiale laica e illuminista dello Stato. Come ricorda Benedetto XVI, la vera alternativa  è la faticosa costruzione di un equilibrio fra un'affermazione forte dell'identità e della storia della maggioranza - che in Europa è cristiana - e una libertà religiosa e culturale offerta alle minoranze che rifiutino senza ambiguità la violenza e accettino i valori fondamentali della società di cui entrano a fare parte. È questa la vera porta d'ingresso a una "narrativa comune".

In Italia la situazione potenzialmente non è meno esplosiva che in Inghilterra. A Torino, per esempio, il venticinque per cento dei giovani tra i quindici e i ventinove anni non ha genitori italiani, e il problema della disoccupazione non è meno grave che a Londra. Quello che finora ci ha salvato da rivolte sullo stile di Tottenham - dove muore il multiculturalismo - e delle banlieue parigine, dove è morto l'uniculturalismo, è una "terza via" italiana che ha cercato di evitare i quartieri-ghetto monoetnici e, senza forzature alla francese, si è sforzata di proporre una offerta d'integrazione alle singole famiglie immigrate piuttosto che delegare un'ambigua "gestione separata" alle singole comunità. Ma anche la nostra non è solo una storia di successi, e la tentazione di percorrere strade sbagliate - per esempio, non mancano nel nostro Parlamento tardivi cantori del multiculturalismo - è sempre dietro l'angolo.

3 commenti:

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  2. Complimenti, l'apertura dell'articolo sembra una fatwa..del resto si finisce sempre per assomigliare a ciò che temiamo di più

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  3. ma non penso sa? perchè il problema dei nostri giorni è: che se delle persone dicono castronerie solo per urlare (e parliano di 4 gatti che urlano) è doveroso da parte di questo giornalista dire e fre nomi e cognomi, che sono e rimangono poi loro oppinioni e che vanno rispettate, ... per poi quello che valgono. per il resto non assomiglio certo a loro, io non ho mai urlato.

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